La cooperazione che cambia

Com'è cambiata la cooperazione internazionale negli ultimi anni? La nuova legge sulla cooperazione internazionale, l'apertura al profit, accanto alle iniziative non profit, ecco i temi trattati da Valerio Bini, africanista e docente universitario.

di Valerio Bini

Nell’agosto 2014 è stata finalmente approvata la nuova legge sulla “cooperazione internazionale per lo sviluppo”: il Ministero degli Affari Esteri è stato simbolicamente ribattezzato Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e nei prossimi mesi dovrebbe vedere la luce una specifica Agenzia per la cooperazione. Sono tutti segni di un rinnovato interesse della politica per la cooperazione allo sviluppo che non si limita al nostro paese e interessa anche l’Europa, i cosiddetti paesi occidentali e le nuove potenze emergenti dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

La cooperazione internazionale sembra dunque tornata al centro del dibattito, ma certamente in una prospettiva diversa rispetto al passato, nella quale cambiano i soggetti coinvolti, le strategie e persino le finalità. In questa ridefinizione del settore alcuni temi sembrano emergere come prioritari e quindi cercheremo di seguirli più da vicino: l’efficacia dell’aiuto, l’affermazione dei BRICS, il nuovo ruolo che sta assumendo il settore privato.

La questione dell’efficacia dell’aiuto allo sviluppo è strettamente legata ai fallimenti di molti progetti di cooperazione: alcuni ricercatori come l’economista zambiana Dambisa Moyo (celebre il suo libro La caritĂ  che uccide) sostengono che l’aiuto allo sviluppo faccia piĂą male che bene alle economie del Sud del mondo e che la soluzione sarebbe (come sempre) nel mercato. PiĂą in generale però si diffonde un certo scetticismo sulla trasparenza e sulla reale efficacia della cooperazione allo sviluppo: dopo decenni di progetti, i risultati sembrano non essere all’altezza delle attese. In realtĂ  la situazione è un po’ piĂą complessa di così e l’analisi andrebbe fatta piĂą nel dettaglio, osservando i diversi protagonisti dei progetti realizzati, ma il dato di fatto è che il tema dell’efficacia dell’aiuto si è imposto nel dibattito internazionale.

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), il principale organo di coordinamento dell’aiuto occidentale, negli ultimi anni ha indetto una serie di incontri internazionali su questo tema. Uno dei principi emersi in queste conferenze è quello di concentrare l’aiuto nei paesi dove questo è piĂą efficace nella lotta alla povertĂ . Gli Stati Uniti hanno portato alle estreme conseguenze questa strategia, fondando una nuova agenzia di sviluppo, chiamata Millennium Challenge Corporation che effettua una selezione strettissima degli Stati destinatari dell’aiuto. Secondo quali principi? Il fatto che nel paese vi sia un “buon governo”, “sia garantita la libertĂ  economica” e vi sia un “investimento nei cittadini”. Come si vede si tratta di criteri alquanto arbitrari, piĂą focalizzati sulla strategia geopolitica dello Stato donatore che non sulle esigenze delle popolazioni.

Questa osservazione ci permette di introdurre il secondo tema: l’affermazione della cooperazione dei paesi emergenti. Negli ultimi anni, particolarmente in Africa, si è potuta osservare una grande crescita della cooperazione da parte dei paesi dei BRICS, in particolare Cina, India e Brasile. I BRICS non parlano quasi mai di “aiuto allo sviluppo” come fanno i paesi occidentali, un po’ perchĂ© suona paternalistico e neo-coloniale, un po’ perchĂ© la strategia che propongono è la cosiddetta “cooperazione win-win” che dovrebbe garantire un mutuo vantaggio a entrambe le parti: il paese piĂą forte ottiene la concessione per sfruttare, ad esempio, una miniera e in cambio costruisce le infrastrutture di base di cui l’Africa ha un disperato bisogno. La Cina Ă¨ regina di questa strategia, ma anche il Brasile presenta alcuni casi interessanti. Uno dei piĂą rilevanti è quello del Mozambico, dove l’impresa brasiliana Vale ha ottenuto la concessione per lo sfruttamento di una miniera di carbone. Il Brasile a sua volta ha costruito la ferrovia e ristrutturato il porto e l’aeroporto di Nacala (architetto e impresa brasiliani) e proprio nella regione sta promuovendo un progetto di cooperazione agricola denominato ProSavana che dovrebbe portare un incremento della produttivitĂ  nei prodotti destinati all’esportazione.

La teoria del mutuo vantaggio è molto forte nei BRICS, ma trova un certo consenso anche negli stati occidentali che sembrano aver capito che la cooperazione può diventare uno strumento molto efficace per accedere a nuovi promettenti mercati. Ed eccoci al terzo tema: il ruolo dei privati.

Negli ultimi anni il ruolo dei privati nella cooperazione è cresciuto enormemente. Si tratta di un settore estremamente eterogeneo e non semplice da delimitare, in cui si trovano piccole e grandi imprese, fondazioni filantropiche occidentali e dei paesi “in via di sviluppo”. Un esempio molto rilevante è quello della fondazione Bill&Melinda Gates, che oggi è uno dei piĂą grandi donatori mondiali, piĂą forte dello stato italiano, per fare un esempio. Questa organizzazione, insieme alla fondazione Rockefeller, ha dato origine all’Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa (AGRA) che promuove l’utilizzo di tecnologie innovative per lo sviluppo agricolo del continente. Alcune organizzazioni della societĂ  civile, tuttavia, hanno fatto notare come i soggetti privati coinvolti nell’AGRA abbiano forti interessi in alcune grandi imprese attive proprio nel settore delle tecnologie per lo sviluppo agricolo, creando così una certa ambiguitĂ  tra gli interessi privati e le finalitĂ  sociali dell’organizzazione.

 

Il tema è centrale anche per il nostro paese. La nuova legge sulla cooperazione introduce esplicitamente (art. 27) le imprese come soggetto protagonista della cooperazione internazionale. Il dibattito è molto rilevante perchĂ© da una parte è certo che le imprese, particolarmente quelle piccole e medie con un forte legame con il territorio, possono svolgere un ruolo molto importante nel rafforzamento delle economie locali; dall’altra sembra che i soggetti privati coinvolti in questo processo siano soprattutto le grandi imprese interessate alle risorse e ai mercati dei paesi in via di sviluppo.

Ad esempio l’ENI, la piĂą grande impresa italiana, da anni sta facendo grandi investimenti in Africa e in particolare in Mozambico, uno dei luoghi storici della cooperazione italiana. Al Forum sulla cooperazione organizzato nel 2012 dall’allora ministro Riccardi (che ha svolto un ruolo molto importante nella processo di pacificazione in Mozambico), l’Amministratore delegato di ENI fu l’unico imprenditore invitato sul palco. Intendiamoci, non c’è nulla di male negli investimenti esteri di una grande impresa. Quello che preoccupa è un legame non sempre esplicito tra il mondo della cooperazione governativa e quello delle grandi imprese, particolarmente nel settore estrattivo e delle infrastrutture. Mentre scrivo, ad esempio, apprendo dalla Stampa che Lapo Pistelli, il viceministro con delega alla cooperazione allo sviluppo, lascia il suo incarico per assumere un ruolo di alta responsabilitĂ  all’ENI, dove si occuperĂ  di “promuovere il business internazionale e di tenere i rapporti con gli stakeholders, in Africa e in Medio Oriente”. Ecco, appunto.

La cooperazione, in Italia e nel mondo, sta cambiando ed è un segno positivo di interazione con una realtĂ  in evoluzione. Alcuni soggetti pubblici e privati però stanno cercando di far passare per cooperazione un’operazione di espansione economica, assolutamente legittima, ma con finalitĂ  diverse dalla promozione del benessere delle popolazioni locali. La confusione tra i due ambiti mi pare pericolosa, perchĂ© rischia di strumentalizzare la cooperazione per finalitĂ  economiche o geopolitiche. Il compito della societĂ  civile, al contrario, rimane quello di promuovere quella cooperazione che mette in relazione associazioni e gruppi del Sud e del Nord del mondo per denunciare lo sfruttamento e sostenere le iniziative di emancipazione, in ogni parte del pianeta.

Valerio Bini, presidente di Mani Tese e geografo presso l'UniversitĂ  degli studi di Milano. Esperto africanista, da 15 anni segue progetti di cooperazione internazionale di Burkina Faso e Benin.

 

  01 Luglio 2015
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