Brasile, il gigante dai piedi d'argilla

Il Brasile è un Paese giovane dalle molte contraddizioni e dalle grandi disuguaglianze. Un gigante che rischia di arenarsi economicamente tra corruzione ed emergenza ambientale. Ma dobbiamo continuare a fare cooperazione e solidarietà in quel Paese, rafforzare le relazioni istituzionali e aprire nuovi canali di comunicazione con le imprese locali. Occorre che le conoscenze e le relazioni di centinaia di piccole associazioni siano valorizzate nel mondo delle imprese trentine.

Brasile

Il Brasile è un paese dove 40 % della popolazione ha meno di 25 anni e meno del 5% supera i 75 anni, che vive una profondissima trasformazione. Nel 2001 il 38% della popolazione era povero; poco più di dieci anni dopo la percentuale della popolazione in povertà si era ridotta al 19%. Sotto il governo Lula (dal 2002 al 2010) si è registrato un tasso di crescita medio del 4% e circa 29 milioni di brasiliani sono usciti dalla condizione di povertà, diventando consumatori a rate di automobili e case, contribuendo a far sì che la crisi mondiale incidesse meno sulla domanda interna. Oggi circa 100 milioni di brasiliani (il 53%) possono far conto su un reddito mensile che supera i 1.000 dollari.

È stato un risultato fenomenale, ottenuto grazie sia al buon andamento dell’economia che a politiche specifiche a favore delle famiglie più povere. La più importante di queste, a ragione famosa in tutto il mondo, è Bolsa Família, un programma volto a garantire alle famiglie più povere l’accesso a servizi pubblici di base: educazione, sanità e alimentazione. Circa 13 milioni di famiglie ricevono oggi un aiuto monetario da Bolsa Família e in cambio si impegnano a vaccinare i figli e a mandarli a scuola. Il risultato positivo è che milioni di nuovi bambini accedono all’istruzione. L’aspetto negativo è che milioni di persone si sono rafforzate nell’idea che non è necessario darsi da fare per campare. E’ per questo che molti osservatori internazionali giudicano assistenzialista la politica economica di questo Paese.

Nonostante il forte sviluppo il Brasile continua ad avere indici di distribuzione del reddito tra i più iniqui al mondo – nel paese ci sono favelas grandi come intere città italiane. Il reddito medio di un brasiliano è il 40% di quello di un italiano. La povertà estrema, inoltre, rimane una piaga diffusa, soprattutto in alcune aree urbane e in alcune regioni del Nord-Est del Paese, e un brasiliano su dieci guadagna meno di due dollari e mezzo al giorno.

Da evidenziare che il ritmo della crescita economica è rallentato molto negli ultimi anni; la crescita è stata in media appena del 1,3% negli ultimi quattro anni e le previsioni stimano una contrazione dello 0,5 % per quest'anno; la produzione industriale è calata nel 2014 del 3,2%: il peggior risultato degli ultimi 5 anni. Le previsioni a breve termine fanno temere che il processo di convergenza con i paesi più sviluppati possa arrestarsi. Secondo stime recenti dell’OCSE il Brasile non raggiungerà neppure nel 2050 il livello di reddito pro capite dei paesi OCSE.

Durante il mio soggiorno molte persone hanno evidenziato il problema della siccità che da alcuni anni sta attanagliando l’economia, che incide specialmente sull'agricoltura e sulla produzione di energia idroelettrica. Per evitare black out, il governo ha aumentato fortemente il prezzo della corrente elettrica in modo da disincentivarne l'utilizzo.

Praticamente tutte le persone con cui ho parlato vedono nelle ruberie il male peggiore. La corruzione nel settore pubblico è così diffusa che al confronto ciò che succede in Italia può sembrare roba da dilettanti; la corruzione è un mostro dalle cento teste, cresciuto all’ombra del potere politico. I governi Lula e Rousseff hanno appoggiato il lavoro della magistratura per ripulire la politica corrotta con leggi molto severe ma la situazione è ancora oggi insostenibile. Basti dire che negli ultimi due anni i grossi investimenti normalmente provenienti da Petrobras sono stati congelati a causa delle accuse di corruzioni rivolte ad alcuni dirigenti del gigante petrolifero.

Anche lì è difficile essere imprenditori: nella classifica dell’Ease of Doing Business il Brasile è al 116° posto su 189 paesi e avviare un’attività economica richiede tempo e denaro, così come è difficile ottenere i permessi o semplicemente pagare le tasse. Similitudini sono possibili anche sul fronte della giustizia, dove i tempi e i costi dei procedimenti legali necessari a far rispettare i contratti sono molto elevati; situazione è analoga per le procedure fallimentari. Le carenze infrastrutturali – strade, porti e aeroporti nel solo campo dei trasporti – rappresentano un altro collo di bottiglia alla crescita della produzione e si vanno ad aggiungere alla scarsità di manodopera qualificata. In molti settori la domanda di tecnici specializzati e di ingegneri supera la disponibilità interna, facendo lievitare i loro stipendi e, quindi, il costo di produzione. Gli elevati stipendi in alcuni settori stanno attirando numerosi giovani laureati da altre parti del mondo, anche dall’Italia.

Il deciso sviluppo economico durato circa un decennio non è stato in grado di mettere in piedi questo enorme paese; rimangono insolute molte contraddizioni e grandi disuguaglianze interne, soprattutto tra nord, nord est e il sud, o tra le aree metropolitane e quelle rurali. La riforma più attesa, quella agraria, tarda a venire perché manca il coraggio necessario. Si è quasi sconfitto l'analfabetismo, ma manca ancora una educazione primaria e università di qualità, cosi come una buona formazione tecnica e professionale che permetterebbe di far crescere l'iniziativa individuale e quindi la piccola o media impresa. E mancano servizi sociali essenziali come gli ospedali. A detta di molti permane l’emergenza ambientale, la biodiversità più ricca del pianeta è minacciata da deforestazione, pochissima protezione e pessima gestione delle aree, soprattutto al nord est non esiste una pianificazione del territorio.

Questi dati, seppur superficiali, ci permettono una prima considerazione: il Sud America e il Brasile non sono comparabili con l’Africa e con il Burundi ma sostenere che in Brasile è venuta meno la necessità di avviare progetti di cooperazione non corrisponde alla realtà. Lo sviluppo è avvenuto a macchia di leopardo e non ha risolto i nodi strategici. All’interno del Brasile troviamo aree metropolitane con tassi di crescita esponenziali che convivono con povertà materiali e sociali intollerabili. Il Trentino può e deve continuare a investire in cooperazione e solidarietà anche in Brasile ma soprattutto rafforzare le relazioni istituzionali e aprire nuovi canali di comunicazione con le imprese locali. La ricchezza delle relazioni internazionali accumulata durante decenni di cooperazione trentina può e deve diventare una opportunità per le nostre università e imprese che si trovano a guardare ai nuovi mercati. Dentro un mondo globalizzato le relazioni di cooperazione possono rivelarsi importanti canali di scambio di know how tecnico e di positive relazioni politiche. Occorre che le conoscenze e le relazioni di centinaia di piccole associazioni siano valorizzate nel mondo delle imprese trentine, dando vita ad un nuovo modello di cooperazione internazionale, dove la visione imprenditoriale e la visione solidale possano confrontarsi, amalgamarsi e arricchirsi reciprocamente.

  20 Agosto 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso