Vittime di land grabbing

Vittime di land grabbing

Denuncia dei coltivatori e allevatori di Ndiael, territorio nel nord del Senegal appaltato a una compagnia con forte partecipazione italiana per la produzione di bio-carburante. Distruzione del pascolo, bestiame morto, incidenti nel canale…La stampa locale parla anche di possibili collusioni con la mafia.

di Luciana De Michele 

"Questa lotta noi la continueremo. Anche dopo che saremo morti, la faranno i nostri nipoti, fino al giorno in cui Senhuile abbandonerà il nostro territorio". Parole di fuoco quelle pronunciate il 29 luglio ai microfoni dei media senegalesi da Ardo Sow, portavoce del Koden, che in lingua pulaar significa “restareâ€, e che in francese è l’acronimo del Collettivo della Difesa di Ndiael: di quel territorio, cioè, nel comune di Gnith (nord del Senegal), che include i 20mila ettari di quella che era una riserva forestiera protetta a livello internazionale, e che nel 2012 il governo senegalese ha declassato e poi concesso per la produzione di bio-carburante alla Senhuile-Senethanol. Si tratta di un’impresa a capitale misto, per la maggior parte costituita dall’italiana Tampieri Financial Group, e per il resto da capitali senegalesi e stranieri riuniti nella Senethanol SA.

La denuncia della popolazione
Gli allevatori della zona, così, sono passati all’attacco, come reazione alle immagini di promozione sociale dell’impresa diffuse dalla tv senegalese, per dare la loro versione dei fatti e annunciare l’inizio della mobilitazione: «Si mostrano mentre distribuiscono 2mila sacchi di fieno, che rappresentano in realtà il consumo di una giornata per il bestiame della zona, pari a circa 100mila capi. E perché non mostrano la paglia di fianco che sta bruciando? Quanto pascolo hanno distrutto loro nell’area di Ndiael? In cosa consiste la responsabilità sociale dell’impresa? In biglietti per andare alla Mecca? Nella distribuzione di qualche chilo di zucchero? Io penso che prima di tutto (i dirigenti dell’impresa, ndr) dovrebbero rispondere a tutte le denunce che sono sul tavolo della Procura della Repubblica, come quella di aumento fittizio del capitale, ma anche dirci quali siano le loro relazioni con la mafia italiana. Credo che dovrebbero rispondere a tutto questo invece di mettersi davanti alla tv a mentire ai senegalesi», la denuncia di Ardo Sow.

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Sospetti di connessioni mafiose
È del luglio scorso infatti la notizia, riportata dai media locali e dal report elaborato da ReCommon sul caso, ripreso anche da Nigrizia, secondo cui l’ex direttore generale della società, Benjamin Dummai, già cacciato dai vertici dell’impresa nell’aprile 2014 e uscito di prigione dopo essere stato arrestato a maggio scorso con l’accusa di appropriazione indebita di denaro, ha denunciato la Senethanol con 14 capi di accusa, tra cui quelli di frode, aumento fittizio di capitale e riciclaggio di denaro. L’indagine della procura di Dakar dovrebbe terminare a metà agosto. È del 29 giugno scorso, invece un articolo on-line del quotidiano l’Enquête, secondo cui effettivamente l’Ige e l’Ofnac (l’Ispezione generale di stato e l’Ufficio nazionale per la lotta contro la frode e la corruzione) starebbero aprendo delle "procedure di inchiesta per verificare i pesanti sospetti di connessioni mafiose e di riciclaggio di denaro tra «certe persone della Senhuile e la mafia italiana".

L’allarme degli allevatori
I rappresentanti dei circa 9mila abitanti dei 37 villaggi inclusi nel perimetro della Senhuile, prevalentemente pastori di etnia peul che praticano un po’di agricoltura e soprattutto l’allevamento, hanno sempre cercato di denunciare l’impatto negativo dell’arrivo dell’impresa sul territorio. «Il campo era una riserva protetta ma con autorizzazione al pascolo, e il bestiame invece ora non sa più dove andare a brucare. Vedete quelle bestie…non sono morte di fame, ma a causa dell’istallazione di Senhuile-Senethanol in questa zona. Quelle aree sono state circondate da filo spinato che uccide il bestiame. Per questo interpelliamo il Capo del governo del Senegal a venire qui a fare una commissione di inchiesta», ha dichiarato Maguette Diaw, membro del Koden. Attorno a lui, carcasse di vacche e capre, gonfie e con la carne visibilmente smembrata da oggetti taglienti, sembrano confermare le sue parole.

Le vittime
A perdere la vita su questo territorio non sono purtroppo solo i capi di bestiame. Il 25 giugno scorso è comparso on-line un articolo di Ndarinfo intitolato: «Un quarto bambino muore nel canale di Senhuile». «Mio cugino quel giorno stava andando a recuperare il gregge, si è fermato nel canale della Senhuile a fare un bagno ed è annegato. Non c’erano barriere né altre misure di sicurezza davanti al canale», ha spiegato Aboubakry Ba, parente della giovane vittima, il 16enne Salif Diallo. La famiglia si sta preparando con gli avvocati a sporgere denuncia.

Da tempo società civile, ong locali e internazionali sostengono in Senegal le popolazioni vittime di casi di accaparramento della terra. In Italia, l’ong Fratelli dell’Uomo si sta impegnando a sostenere in un progetto a sostegno delle comunità di Ndiael e Thianardé. Intanto, con le loro forze, queste stesse si sono lanciate in una battaglia mediatica: "Cos’ha la famiglia Tampieri in più delle famiglie senegalesi? Che ce lo dicano. Perchè lo stato non può sostenere quei senegalesi che hanno lavorato meglio della Senhuile, invece di preferire una famiglia italiana?", ha concluso davanti alla stampa Ardo Sow. "Noi diciamo “noâ€, e continueremo a dire “noâ€, costi quello che costi".

Per saperne di più: Land Grabbing

Fonte: Nigrizia

  24 Agosto 2015
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