L’Africa di Alcisa Zotta

L’Africa di Alcisa Zotta

È un racconto di vita reale, nulla è stato inventato: un ritratto autentico di una donna anticonformista. Nata in una famiglia povera, è una semplice pastora, può frequentare solo la scuola elementare. Poi Roma, Londra e Parigi. Si laurea alla Sorbona e va a insegnare lontano: in Alto Volta, Burkina Faso e Costa d’Avorio. Resterà in Costa d’Avorio, in una zona poverissima del Nord come missionaria laica.

di Odilia Zotta

Il 17 settembre 1961 il segretario delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld, muore in un incidente aereo. Si tratta quasi certamente di un sabotaggio. Dopo la morte, viene trovato nella sua abitazione di New York un diario, che inizia con questi versi: “Fu così e vengo spinto oltre, verso una terra sconosciuta. Il terreno si fa più duro l’aria più fredda e pungente. Le corde dell’attesa vibrano mosse dal vento della mia meta ignota. Con mille altre domande giungerò là dove la vita si spegne… semplice, chiara nota, nel silenzio. Sorridente, sincero, incorruttibile… il corpo domato e libero. Un uomo divenuto quel che poteva, che fu quel che fu, sempre disposto a raccogliere tutto in un semplice sacrificio. Domani ci incontreremo, la morte ed io… Immergerà la sua spada in un uomo che veglia. Ma come brucia il ricordo di ogni attimo sperperato invano”.

Anche noi familiari, dopo la morte di Alcisa, troviamo nella soffitta della nostra abitazione il suo diario. Quaderni di scuola, scritti a mano e numerati, con annotazioni quasi quotidiane e con grafia veloce, nervosa, non sempre di facile decifrazione. La lingua usata è l’inglese, un inglese di uso comune, appreso come autodidatta. Il diario copre un terzo della sua vita e ne traccia il profilo più maturo e più autentico. Insieme alle lettere è il documento fondamentale per ricostruire la straordinaria vita di questa donna. Nel secondo quaderno del diario, a margine, trovo riportata questa frase di Antoine de Saint-Exupéry: «Dans la mort d’un homme, un monde inconnu meurt». È proprio vero, spesso conosciamo poco le persone care che ci vivono accanto. Leggendo il diario mi accorgo di quanto poco io conosca mia sorella. Ma perché ricordare questa persona coraggiosa, che ha forzato i confini delle situazioni che stava vivendo, per andare oltre, incontrare l’altro inteso come comunità o come cultura o come dimensione religiosa? Ho aspettato quasi vent’anni anni prima di scrivere la sua storia e convincermi che è bene farla conoscere. Reali o immaginarie che siano, tutte le vite hanno un significato. Ma ci sono vite più intense, tormentate e misteriose di altre che, se non vengono documentate, si perdono. È un racconto di vita reale, nulla è stato inventato: una fine traumatica, un diario, memorie private da cui emerge un ritratto autentico.

Chi è stata Alcisa, cos’ha fatto nella sua esistenza non si può dire in poche parole, tanto fu ricca di iniziativa, di scelte inusuali e talvolta contrastate, di impegno civile, di fede anticonformista, di studio e ricerca, anche di avventura, di femminismo ante litteram. Forse il termine che più la comprende, ne esprime la forza e la determinazione, e insieme la modestia e la costanza, è quello di «profezia»: per quel suo essere e parlare tra la gente, restando però libera dai condizionamenti sociali, per la capacità animatrice delle istituzioni, civili e religiose, ma anche di critica e di autonomia da esse, per il suo vivere tutt’altro che tranquillo e scontato, tra affetti veri e tensioni di una volontà tenacissima. Nata in una famiglia povera, in un paese trentino di montagna, è una semplice pastora, più propensa alla lettura che non alla cura degli animali e dei campi; può frequentare solo la scuola elementare.

Ma la sua sete di conoscenza la spinge dapprima a esaurire tutti i libri disponibili nell’unica biblioteca del paese, quella delle suore di Maria Bambina, e in seguito ad andar lontano, come gli emigranti tesini, nell’Europa occidentale, nell’Africa sub-sahariana e nel Medioriente. Inizia così un lungo cammino che porterà tante novità in famiglia, nel paese e nella visione del mondo di chi la frequenta. Il suo lavoro di puericultrice a Roma, Londra e Parigi le fa conoscere nuovi mondi e padroneggiare due lingue adatte a comunicare con gente d’ogni dove; influenza profondamente il fratello e le sorelle più 18 giovani e permette alle due minori di studiare a Trento, fino all’università. A Parigi lavora e studia. Si laurea alla Sorbona e va a insegnare lontano: due anni in Alto Volta, ora Burkina Faso, e un anno in Costa d’Avorio. Resterà in Costa d’Avorio, in una zona poverissima del Nord, altri tre anni come missionaria laica, imparando la lingua locale e impegnandosi soprattutto nell’animazione femminile. Proprio in quegli anni fa una scelta di povertà e di servizio, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza uno stipendio, senza appartenere a nessuna organizzazione.

La sua vocazione: testimoniare il Vangelo con le opere, sulla scia di Charles de Foucauld. Poi ritorna in Italia, nel suo paese, per assistere la mamma anziana. Vive anni di delusione profonda dissimulata da attivismo frenetico. Alle azioni di vita quotidiana aggiunge un forte impegno missionario di sostegno e lo studio della teologia presso l’Istituto di liturgia pastorale Santa Giustina di Padova. Il suo desiderio profondo di impegno in campo religioso viene frustrato da un parroco di paese seguace della tradizione. La sua fede è ricerca e dubbio. Nel mondo occidentale il benessere allontana dalla religione e si va perdendo il senso del mistero, della missione e della comunità. Soffre in silenzio e confida solo al diario il suo sentirsi isolata e respinta da una Chiesa che sembra tradire le novità del Concilio Vaticano II e che non valorizza la donna. Anche per questo desidera tornare in missione, all’Africa più povera, immutabile nel suo ricordo, come alle radici di un’esistenza essenziale e anche di una presenza, di un ruolo, di un essere riconosciuta anche in quanto teologa. Dopo la morte della madre e la conclusione del percorso universitario, a sessantuno anni si sente libera di ripartire e sceglie la Repubblica Centrafricana.

L’ultimo suo viaggio è uno straordinario pellegrinaggio religioso, culturale e artistico, raccontato giorno dopo giorno, Paese per Paese, come da una viaggiatrice d’altra epoca. Il diario e le lettere scritte ai fratelli narrano un percorso dall’Italia alla Grecia, e poi Turchia, Siria, Giordania e Israele, da sola e con la sua vecchia automobile: un cammino alla ricerca dei luoghi raccontati nella Bibbia. Poi un volo aereo verso Lagos da dove si avvia su strade impossibili e con mezzi locali per coprire l’enorme distanza che la separa da Bangui, capitale del Centrafrica. Chiamata a un destino imperscrutabile.

 

 

La storia di Alcisa Zotta è raccontata nel libro “La sua Africa. Coraggio, vocazione e cammino di Alcisa Zotta”, edito da Il Margine.

  11 Marzo 2015
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