Bosnia, dopo la guerra, frutti di pace

Bosnia, dopo la guerra, frutti di pace

Srebrenica, una zona di difficile rientro per profughi e sfollati. Ciononostante, donne operaie hanno creato le condizioni per vivere e lavorare insieme fondando una cooperativa agricola che oggi distribuisce i suoi frutti di Pace anche in Italia

di Nicole Corritore, Osservatorio Balcani Caucaso

Donne, Lamponi e Pace. Sono le tre parole che accomunano la storia di una cooperativa agricola nata nel 2003 a Bratunac, nel territorio di Srebrenica, una delle zone dove la guerra in Bosnia del '92-'95 ha mostrato uno dei suoi volti più feroci. Un luogo della Bosnia orientale, sulla riva occidentale della Drina e al confine con la Serbia, dove invece oggi donne - un tempo profughe o sfollate – sono tornate a vivere e coltivano gomito a gomito frutti di bosco. Si tratta di un progetto di riconciliazione al femminile: donne che attraverso il lavoro e superando le divisioni etno-nazionali imposte dalla guerra hanno cominciato a parlarsi, ascoltarsi reciprocamente, accogliere il dolore dell'altro senza rinchiudersi nel proprio. A distanza di più di un decennio dalla fondazione, i prodotti della Cooperativa "Insieme-Zajedno" si vendono anche in Italia, sebbene la strada per arrivare fin qui sia stata tutta in salita. Innanzitutto a causa delle devastanti conseguenze del conflitto: furono centomila i morti, in maggioranza civili, e 2 milioni e duecentomila le persone che lasciarono il Paese durante la guerra o dovettero sfollare in altre zone della Bosnia Erzegovina dove la loro nazionalità era maggioranza. Quindi più di metà della popolazione bosniaca fu costretta ad abbandonare le proprie case. Il Paese si è trovato inoltre con pesanti devastazioni strutturali e un tessuto economico inesistente.

Con la fine del conflitto la comunità internazionale avviò programmi di ricostruzione e progetti a sostegno del rientro di profughi e sfollati nelle zone di residenza pre-guerra. Un rientro però reso molto difficile, oltre che dalle devastazioni strutturali e dalla mancanza di fonti di sostentamento economico, dalla divisione in zone "monoetniche" della Bosnia: la guerra aveva infatti creato la frammentazione a macchia di leopardo in territori a maggioranza croato-bosniaca, serbo-bosniaca e bosgnacca (bosniaco musulmani), dove il rientro delle minoranze veniva osteggiato.

In gran parte del Paese era stata perpetrata pulizia etnica ma è Srebrenica a segnare nella Storia una delle pagine più nere: nonostante fosse stata dichiarata area protetta dall'Onu, nel luglio del '95 in pochi giorni le truppe serbo-bosniache la invasero e uccisero e occultarono in fosse comuni migliaia di bosgnacchi, tra i quali anche minorenni, mentre donne e bambini vennero forzati a sfollare. Ciò che avvenne è stato definito “genocidio†– e non più "semplice" pulizia etnica - dal Tribunale Internazionale per i crimini di guerra dell'Aja nel 2004.

Per i bosniaci musulmani rientrare a vivere a Srebrenica voleva dire superare paura e dolore provocate dall'esodo forzato e dalla perdita di familiari e parenti, in un luogo dove erano rimasti a vivere anche i responsabili di quei crimini.

E' proprio nella zona di Srebrenica che parte, agli inizi degli anni duemila, la sfida di Rada Žarković - attualmente a capo della Cooperativa - assieme all'amico Skender Hot. Entrambi pacifisti, fin dallo scoppio del conflitto in Croazia nel '91 erano stati attivi nella rete delle associazioni dei vari Paesi dei Balcani che si battevano contro la guerra. Rada entrò così in contatto con la società civile italiana, divenendo volontaria per l'Ics. L'Ics, Consorzio Italiano di Solidarietà, era nato in Italia nel 1993 allo scopo di coordinare decine di gruppi, associazioni, enti locali, ong che dall'inizio della guerra nei Balcani si erano spesi in interventi di solidarietà e aiuto alle popolazioni della ex-Jugoslavia.

Per approfondire

Vedi la pagina con i punti vendita in Italia, sul sito della Cooperativa "Zajedno-Insieme"

Leggi la storia di Radmila (Rada) Žarković, nel libro “Donne di un altro mondoâ€, a cura di P.Moiola e A.Lano, Gabrielli Editori, 2008, sul sito di OBC in formato PDF

All'inizio degli anni duemila Ics, come tante altre organizzazioni, dovette contrarre le attività per la forte diminuzione dei fondi. Rada, che assieme a Skender nel 2001 lavoravano presso la sede di Sarajevo del Consorzio, non si diede per vinta e decise di lavorare nella zona di Bratunac e Srebrenica dove il rientro di profughi e sfollati era stato pressoché nullo.

Con il coinvolgimento di soggetti della società civile bosniaca, fece un'approfondita ricerca per capire come sostenere il processo di ritorno. Emerse che prima della guerra quella era una delle zone di maggior raccolta di piccoli frutti, soprattutto lamponi, di tutta la ex-Jugoslavia. Dopo aver riscontrato che il mercato, sia locale che estero, offriva un buon margine per i prodotti derivati dalla lavorazione di questi frutti, Rada, Skender e altri 10 soci decisero di fondare Zajedno-Insieme.

Un nome, in italiano e bosniaco, che rispecchia le basi su cui si poggia il progetto: forti relazioni intessute nel decennio precedente con realtà del movimento solidale italiano, esistenti tutt'oggi.

 

 

Questo articolo uscirà nell'edizione 2015 dell' "Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo", realizzato dall'Associazione 46° Parallelo e distribuito nelle librerie da AAM Terranuova da marzo.

Fonte: www. http://www.balcanicaucaso.org

  09 Marzo 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso