MIRIAM ROSSI

MIRIAM ROSSI

COOPERANTE

Dottoressa di ricerca in Storia delle Relazioni e delle Organizzazioni Internazionali, sono esperta di diritti umani, ONU e politica internazionale e autrice di diversi saggi scientifici e di una monografia in materia. Attualmente sono impegnata nel campo della cooperazione internazionale e sono referente per l’associazione COOPI Trentino e collaboro con altre realtà del Terzo Settore a livello di formazione, progettazione e comunicazione.

La diaspora kosovara: debolezza o risorsa?

Non viene in mente termine più calzante per le colonne di auto che si affiancano nei chilometri precedenti la frontiera tra Croazia e Serbia, mostrando le targhe di mezza Europa: tedesche e svizzere soprattutto, ma anche italiane e austriache, olandesi e norvegesi. Chilometri di auto ferme in attesa di mostrare i documenti di identificazione agli uomini in divisa. Sono numerosi gli automobilisti che, per sgranchirsi le gambe o per usufruire dei servizi igienici, percorrono la strada a piedi, rassegnati alla lunga attesa.

Poi ci sono ancora più di 400 Km di autostrada per attraversare la Serbia da ovest a est passando per la capitale Belgrado. L’autostrada sfocia in una strada a una sola corsia per senso di marcia: ci si avvicina a Merdare, il confine tra Serbia e Kosovo. I nervi sono più tesi, la stanchezza accumulata nelle precedenti soste mette a dura prova la nuova lunga attesa per entrare nello Stato autoproclamatosi indipendente dal governo di Belgrado nel febbraio 2008 ma non ancora riconosciuto da 83 Paesi dell’ONU, Serbia inclusa chiaramente. Niente passaporti kosovari da mostrare dunque ai poliziotti serbi, il documento rilasciato dall’“inesistente†Stato, nell’ottica di Belgrado, non è valido. Si procede con la carta di identità kosovara o con il vecchio passaporto serbo, o anche con i passaporti europei per tutti quei kosovari che hanno ottenuto la nazionalità del Paesi in cui vivono. Serbi e kosovari ispezionano i beni immessi con gli autoveicoli nel Paese, gli automobilisti saldano i costi dell’assicurazione delle auto (che, seppur europea, non copre il territorio kosovaro) e in molti compilano le autodichiarazioni per notificare l’ingresso nel Paese. Poche decine di metri e un piccolo cartello segnala l’ingresso in Kosovo. Anche le condizioni del manto stradale e i percorsi alterati tra nuovissimi tratti a scorrimento veloce di recente costruzione e pezzi di strada sterrata segnalano il passaggio alle carenti infrastrutture kosovare. A destra e sinistra della strada edifici in costruzione, molti senza intonaco o terminati solo ai piani inferiori. Per molti emigrati kosovari le ferie estive servono anche a questo: a completare parti della casa ricostruita dopo la guerra e in cui auspicano di tornare, in un futuro collocato in un punto temporale ancora indefinito.

kosovo[1]

È un vero e proprio controesodo quello vissuto dal Kosovo in questi mesi estivi, con 350mila kosovari che vivono in Svizzera, 300mila in Germania, e altri 150mila tra Stati Uniti e Paesi Scandinavi, a fronte di “appena†1 milione e 800mila all’interno del territorio nazionale. Pur risentendo di una certa approssimazione, questi numeri hanno indotto il governo kosovaro a istituire nel maggio 2011 un Ministero della Diaspora, con l’obiettivo di rafforzare i legami e le capacità di tutela dei propri concittadini che risiedono e lavorano all’estero.

Tra luglio e agosto le città e i villaggi si riempiono, la sensazione di isolamento si attenua, le attività economiche fioriscono con la messa in circolo dei soldi delle famiglie kosovare che lavorano all’estero. Sono proprio le rimesse dall’estero a consentire la sopravvivenza del Paese; al loro fianco gli incisivi aiuti economici provenienti soprattutto dalla cooperazione europea e statunitense. Un calderone di progetti, interventi, accordi su cui i kosovari poco possono incidere attivamente. Oggi la disoccupazione nel Paese tocca il 40%, un tasso che colpisce la fascia della popolazione più giovane, sotto i 30 anni, in un territorio in cui il numero degli adulti di mezza età è molto basso anche a causa del loro coinvolgimento negli eventi bellici della fine degli anni Novanta. Una situazione che negli ultimi mesi ha visto accrescere sensibilmente l’esodo da clandestini di centinaia di giovani, alla ricerca di una vita migliore che il Kosovo sembra non sia proprio in grado di offrire. Il passaggio dalla Serbia all’Ungheria, là dove il Primo ministro magiaro Viktor Orbán sta innalzando un muro, è il più battuto e abilmente gestito da un racket che sancisce tariffe e modalità di ingresso nello spazio dell’Unione Europea, col beneplacito di una Serbia ben contenta di assistere a uno spopolamento della regione. Il Kosovo è l’unico Paese balcanico a non beneficiare del regime di “visa-free†in Europa; la richiesta di visto è una pratica economicamente dispendiosa e segue la logica del ricongiungimento o della visita familiare, oppure dell’invito per lavoro. Il che rende la richiesta inaccessibile a molti.

Con la crisi istituzionale e la forte instabilità politica del Kosovo, la corruzione dilagante, la disoccupazione alle stelle, il Kosovo costituisce la regione più povera d’Europa. L’Accordo di Bruxelles stipulato nell’aprile 2013 tra Belgrado e Pristina, teso a regolare l’autonomia dei serbi all’interno del Kosovo (quasi una prima sanzione che il Kosovo non è più parte della Serbia), resta ancora sulla carta nonostante le forti aspettative che esso aveva suscitato per una normalizzazione delle relazioni bilaterali. Ad acuire le divergenze tra i partiti kosovari al governo è inoltre giunta lo scorso anno la richiesta degli organi comunitari di istituire una Corte che vada a indagare sui presunti crimini di guerra e contro l’umanità commessi dall’Uck contro serbi (e rom) dal 1998 al 2000, e specialmente nella fase della guerra seguita ai bombardamenti della NATO. Quella dei veterani di guerra costituisce da sempre una presenza “ingombrante†sull’azione politica kosovara, che più di altre fa emergere come il recente passato pesi ben più dello sviluppo di una strategia per il futuro del Kosovo.

 

Fonte: Unimondo

  12 Agosto 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso