La nostra Africa. L'esperienza di un gruppo di studenti del liceo scientifico Galilei di Trento sui monti Udzungwa in Tanzania

La nostra Africa. L'esperienza di un gruppo di studenti del liceo scientifico Galilei di Trento sui monti Udzungwa in Tanzania

L'esperienza di un gruppo di studenti del liceo scientifico Galilei di Trento sui monti Udzungwa in Tanzania.

di Silvia Defrancesco

Il primo incontro con l’Africa, cinque anni fa. Nessuna preparazione iniziale, nessun conoscente che mi avesse parlato del vecchio continente. Qualche stereotipo, il sole, il caldo, gli alti watutsi, i leoni, gli elefanti, le capanne… Alcune informazioni mal organizzate (si riesce in molti casi a comunicare in inglese, meglio fare alcune vaccinazioni, attenzione alla malaria, non bere acqua, all’aeroporto ci sono dei taxi, dalla cittĂ  partono autobus verso le principali destinazioni dell’interno) permettono di farsi un’idea di un posto simile al nostro, non il mondo di oggi , ma di qualche decennio fa. Il primo giorno, la folle corsa di otto ore in autobus verso l’interno della Tanzania, mi vede incollata al finestrino a cercare quello che non c’era, cioè un paese come il nostro. Non che non avessi mai viaggiato, non ero la persona che mette il naso fuori da casa per la prima volta. Tuttavia, in tutte quelle ore di pullman, mi chiedevo quando sarebbe comparso qualche scorcio di paesaggio che mi riportasse a scene e luoghi in qualche modo giĂ  noti. Invece, niente, niente di quello che vedevo era come immaginavo, nessuna somiglianza con ciò che conoscevo. Credo di essere stata in silenzio per otto ore, per provare a capire. Non era il succedersi di banani, di manghi e di baobab che mi ammutolivano. Quella era la natura, semplicemente maestosa e meravigliosa; certamente diversa dalla vegetazione di querce,  pini  e noccioli ai quali sono abituata; questo aspetto era tuttavia in programma, nella mia testa: la differenza di latitudine (dai 46°N  ai 7° S) non lasciava dubbi, flora e fauna devono avere ben poche cose in comune. Ho capito col tempo che a lasciarmi ammutolita erano le persone, con il loro pezzettino di vita che si può carpire dal finestrino di un pullman. Ecco, quei frammenti di storie raccolte in fretta dagli occhi di uno straniero come me, erano veramente diversi. Nei giorni successivi, quei fotogrammi sono diventati familiari e piano piano, lentamente, li ho assimilati, probabilmente non capiti, ma comunque inquadrati…nella mia Africa.

Queste piccole storie sono ora un pezzo della mia storia, perchĂ© è vero che si sente sempre il richiamo dell’Africa e  la si porta nel cuore per sempre. Per questo ci sono ritornata altre due volte, l’ultima con un gruppo di otto studenti di quarta liceo. La mia prima volta in Tanzania mi aveva insegnato che forse è meglio prepararsi prima di partire, dunque con i ragazzi abbiamo fatto una serie di incontri con chi l’Africa la conosce bene. Gli sforzi per avvicinare il mondo africano alle loro menti sono stati importanti e utili, ma l’incontro con la realtĂ  ha poi ha superato ogni possibile descrizione: anche loro, come me cinque anni fa, sono rimasti incollati al finestrino senza parlare per ore. Otto ore di pullman hanno subito permesso di vedere uno spaccato dell’Africa. Donne che camminano, donne che vendono pomodori patate banane lungo il ciglio della strada, uomini su biciclette cariche all’inverosimile, bambini sorridenti che salutano, ragazzi in divisa che vanno e vengono da scuola.

E poi la sfilata delle opere realizzate qui da mezzo mondo: scuole e dispensari italiani, giordani, cubani, svizzeri, statunitensi, tedeschi… La cooperazione internazionale. La cooperazione che costruisce edifici, li dona a un popolo che non sa o non vuole occuparsi della loro manutenzione e gestione, che allontana il momento in cui questo popolo si dovrà occupare di se stesso. Ora le strade e le infrastrutture importanti sono in mano ai cinesi, gli ultimi arrivati, che, chissà, magari lasceranno l’impronta più duratura.

 

Africani bianchi

L’idea nasce, come spesso accade, dall’incontro con varie persone. Bruna e Lucio che vivono in Africa e che per primi me l’hanno raccontata, gli insegnanti tanzaniani Grace e Matokeo, che mi hanno invitata a casa, i volontari trentini che trascorrono le loro ferie in Africa, i volontari (medici, muratori, ingegneri, sociologi, operatori sanitari, meccanici, sarti…) che in Italia inventano progetti da portare in Africa, Francesco e Silvia che lavorano fra l’Italia e la Tanzania. Tutta questa serie di incontri con persone che in Africa vanno per i più diversi motivi, ha suscitato in me il desiderio fortissimo di far conoscere l’Africa ai miei studenti. Ho così elaborato un progetto che permettesse di aprire nella mia scuola una finestra su quel continente. Abbiamo dapprima lavorato con l’idea di progettare esperimenti che potessero essere realizzati in scuole sprovviste di laboratori, come accade nelle scuole tanzaniane.

La possibilità concreta di organizzare un viaggio in Tanzania con gli studenti è nata strada facendo, per dare l’opportunità di mettere a confronto due mondi molto diversi, di far parlare i nostri ragazzi con quelli del luogo, di incontrare persone straordinarie. Durante il viaggio, abbiamo potuto confrontare i problemi e le difficoltà della vita in organizzazioni sociali diverse dalle nostre; abbiamo potuto constatare cosa rappresentiamo per gli africani: iamo i bianchi, quelli che hanno i soldi. Se siamo in Tanzania per divertirci nelle acque del loro oceano, o per vedere i loro animali nella savana, o per una qualche forma di volontariato, è perché abbiamo potuto comperarci il biglietto aereo e pagare un alloggio decente.

Nelle mattinate passate nelle scuole, i ragazzi italiani, inizialmente ritenuti degli studenti universitari a causa della loro statura e della capacità di spiegare qualche esperimento scientifico sono stati letteralmente assaliti dagli studenti tanzaniani, prima per chiedere spiegazioni sugli esperimenti mostrati, per poi passare ad altri temi: l’Italia, la scuola, il calcio… Gli incontri si chiudevano con delle danze ballate assieme e con uno scambio di indirizzi di posta elettronica e facebook.

L'Africa nei diari degli studenti: le loro riflessioni

…E’ da qui che è partita la grande storia della razza umana. E’ da qui che è cominciato tutto.

Queste sono le terre sulle quali l’uomo cammina da più tempo. Sono quindi anche quelle in cui ha avuto più tempo per evolversi eppure qui la vita è tutt’altro che “evoluta”.

...Noi consideriamo evoluta una società in cui il consumismo è a livelli ormai esorbitanti e dove la dignità del singolo ha perso ogni importanza. Dove l’unico obbiettivo è guadagnare di più, perdendo però vista la vera natura dell’uomo. Detto questo penso che qui, se non la società, sicuramente la filosofia di vita della gente sia decisamente molto più evoluta di quella “occidentale”.

…La prima cosa che mi ha colpito al mio arrivo è stato l’odore, non uno in particolare, quello dell’aria stessa. E’ completamente diverso dall’inodore a cui siamo abituati. Mi colpisce molto l’odore acre che c’è nell’aria, un misto di umidità, smog e scarsa igiene, mai sentito prima

…Non avevo mai visto un posto con delle norme igieniche ridotte così all’osso. Pesce esposto pieno di mosche, gente scalza in mezzo ai rifiuti ed al sudiciume, gabinetti improvvisati un po’ ovunque, questa era l’idea che avevo di povertà.

…Più sono presenti oggetti moderni e più spazzatura si trova per terra. Più negozi di vestiti occidentali aprono, più persone vestite in maniera ridicola senza più un’identità si scorgono per strada. La semplicità e la felicità delle persone è travolgente.

...Passando in bicicletta fra le miserie delle case di argilla semidistrutte, ogni bambino ci accoglieva con un sorriso e un grido “Mzungu!” (“bianco”). Solo ora riesco davvero a capire come ci si sente ad essere delle pecore nere, o meglio bianche, di una comunità. Il sempre presente senso di disagio creato dagli sguardi esaminatori della gente e dalle grida “mzungu” dei bambini ci accompagnano di villaggio in villaggio.

…Eravamo gli unici bianchi nella zona e per questo tutti ci squadravano da cima a fondo lanciandoci anche delle occhiatacce e ci chiedevano spesso soldi in un tono che stava ad indicare l’ingiustizia del fatto che noi avessimo macchine fotografiche, occhiali da sole e loro no, questo mi ha fatto apprezzare ciò che ho.

 

…Per quanto riguarda la religione, molte persone integrino ai numerosissimi culti presenti elementi di religioni locali (c’è chi identifica i santi come gli spiriti) finendo per costruire delle credenze che permettono loro sia di conservare le tradizioni che di andare a elemosinare il pane nella missione più vicina.

...Assistiamo all’incisione degli alberi per raccoglierne il lattice, ovvero la linfa, quindi il trattamento che questo subisce a base di acido formico, senza protezioni per gli operai, in un fetore mai sentito prima, quindi la stiratura, l’asciugatura ed il confezionamento di questi panni di lattice.

…Peccato solo per la neve nera che ci ha accolto al ritorno, alla sera, ovvero le ceneri residue degli incendi delle piantagioni di canna da zucchero che ricadono a terra.

...Orrendi ed enormi cartelli pubblicitari sovrastano le strade brutalmente asfaltate. Cartelli affiancati da case in rovina ma soprattutto da una popolazione che non appartiene a questo tipo di mondo. Da una parte c'è la pubblicità della Pepsi, da quella opposta il mercato del pesce che si affaccia sull'oceano.

…Perché loro non vivono nella natura, vivono con la natura…. La vita non si svolge all'interno dei loro piccoli rettangoli marroni, ma per le strade e nel cuore della fauna e della flora.

 

Hanno collaborato Alessandra, Jacopo, Francesco, Michele, Marco, Bianca,  Alvise, Felipe.

 

  02 Febbraio 2015
Centro per la Cooperazione Internazionale
Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani
Osservatorio balcani e caucaso